mercoledì 13 agosto 2014

MITI, SUICIDI E COGLIONI

Sono i miti per eccellenza della nostra epoca: ricchezza e successo.
Anzi, nell'ordine, prima il successo e poi la ricchezza.
Essere in cima alla piramide o, per lo meno, avere un posto al sole. Arrivare in TV, vedere le proprie foto sui giornali, il proprio nome nelle classifiche.
Sono miti diffusi e pervasivi al punto che la maggior parte di noi, nel suo piccolo, sul palcoscenico dei social network, gioca alla celebrità, si fotografa, si racconta, si presenta al meglio, o magari al peggio, se pensa che questo lo renda "figo", anticonformista, personaggio.
Nel mondo in cui viviamo chi non ha apparenza sente di non avere sostanza. Di non esistere.
E quella di non esistere è la peggiore delle sensazioni. Ben lo sa il bambino per il quale essere ignorato dai genitori è il peggiore dei castighi. E, infatti, non a caso, cosa insegna la perfida Tata dell'omonimo programma TV ai genitori loffi che implorano un metodo per gestire bambini ingestibili? Quando fanno i capricci ignorateli. Alla fine smetteranno e torneranno con la coda tra le gambe. Sembra una cosa civile, non violenta. Ma certe volte mi chiedo se lo scapaccione sul sedere utilizzato dai nostri genitori non realizzasse lo stesso risultato provocando, nel complesso, meno sofferenza ai bambini.
Lasciando da parte i miei dubbi montessoriani e tornando ai miti dei nostri giorni, non ho difficoltà a confessare che nei miei sogni babbei da scrittore sconosciuto di mezza età ogni tanto anche io mi chiedo come sarebbe se imbroccassi un libro di successo e diventassi, non dico ricco, ma un po' meno povero e non dico famoso, ma non più del tutto sconosciuto.
Sono sogni troppo radicati nel nostro subconscio, anche in quello degli ex giovani, per non ammaliare con canto di sirena gli Ulisse di tutte le età.
Poi arrivano notizie come quelle del suicidio di Robin Williams.
Uomo ricco e famoso. Uno che in cima alla piramide c'era stato un sacco di volte. Uno che non solo aveva un posto al sole, ma si era abbronzato a lungo.
Come accidenti succede che uno che ha realizzato il sogno della maggior parte degli altri uomini cade in depressione, arriva a distruggersi di alcool e alla fine si strozza con una cintura?
Era lui un coglione che non ha saputo apprezzare la fortuna che gli è capitata (o che si è conquistata, fate voi) o forse invece coglioni siamo un po' tutti, perché ci facciamo abbagliare da specchietti per le allodole, perché ci lasciamo abbindolare da falsi miti?
Se è così allora coglione sono io per primo, con i miei sogni consolatori da aspirante scrittore famoso, che si vede intento a bere alla canna la bottiglia di Strega all'esito vincente del ben noto premio-vetrina per scrittori-che-pensano-di-essere-fighissimi.
Successo e fama. Soldi e foto sui giornali. Essere riconosciuti e applauditi. Sentirsi su un livello più alto, lontano dai limiti e dai problemi della vita di tutti i giorni.
Fuffa. Puttanate.
Il suicidio di Robin Williams come di tanti altri personaggi di successo (tanti, proprio tanti, troppi…) viene a dirci con un'evidenza ben maggiore del canto di qualsiasi sirena che successo e fama sono solo sovrastrutture, sono qualcosa che arriva e non ti cambia nel profondo, non ti trasforma in un Superman con superpoteri, non guarisce le tue ferite, non risolve i tuoi dubbi, non cancella le tue sconfitte, non amplia i tuoi orizzonti, non aumenta il tuo quoziente intellettivo, non ti fa più furbo, non ti rende meno stronzo.
Un coglione quando raggiunge la fama e il successo non diventa un genio.
Diventa solo un coglione famoso.
E la fama non è garanzia di talento. Oggi diventano famosi anche mister e miss nessuno che si sono trovati davanti alla telecamera giusta al momento giusto. Una fama e un successo sempre più effimeri, sempre meno significativi, sempre più frutto del caso.
Lo dico soprattutto ai ragazzi dell'età dei miei figli, ben sapendo che la mia è una voce debolissima che i reality idioti di MTV subisseranno senza sforzo, con una singola inquadratura del culo della decerebrata urlatrice di turno che si rotola di soddisfazione per essere riuscita ad acchiappare il suo quarto d'ora di "celebrità" a costo di tutta la dignità avuta in dote in qualità di essere umano.
Ragazzi suonate prima di tutto perché vi piace suonare, recitate perché vi piace recitare, scrivete perché vi piace scrivere, tirate calci a un pallone perché vi piace giocare.
Trovate piacere nelle cose che fate.
Il resto è fuffa, fuffa, fuffa.
Puttanate, puttanate, puttanate.
Chi guadagna producendo film, musica, libri, dirette televisive, campionati di calcio, vi prende e ci prende per il culo. Alimenta in tutti i modi l'illusione che la fama e il successo siano i sinonimi della parola felicità. Perché il mondo dello spettacolo e dello sport è un tritacarne che per funzionare e produrre soldi ha bisogno di carne da cannone. E la carne da cannone siete voi.
Per arrivare in cima alla piramide bisogna sacrificare tutto, è questo che ci ripetono. Ci convincono che il sacrificio vale la pena perché in cima alla piramide c'è il sole. Ma quando si arriva si scopre, regolarmente, che il sole è grandissimo e molto vistoso, ma fatto di cartone, che tutti i nostri limiti e i nostri problemi ci hanno seguito, come cani fedeli, anche là in cima, e che quello a cui abbiamo rinunciato è esattamente quello che, da quel momento in poi, ci mancherà e ci impedirà di essere soddisfatti.
È quello che in cima alla piramide hanno trovato Marilyn Monroe, Ernest Hemingway, Luigi Tenco, Kurt Cobain. E qualche giorno fa anche Robin Williams.
L'importante è la passione. Il piacere che si ricava dallo scrivere, suonare, recitare, segnare un gol.
Il successo, se mai dovesse arrivare, è un accessorio. Oserei dire quasi "un male necessario", che si trovano talvolta a subire quelli particolarmente bravi.
Tenetevi stretti i sogni, le vecchie chitarre, gli amici, i padri e le madri (se non sono troppo rompiscatole), il vostro cane, il vostro posto speciale in riva al mare o sulla panchina di un vecchio giardino. Non sacrificate niente di tutto questo per scalare nessuna piramide.

Le piramidi lasciatele ai faraoni. Che, per quanto si siano sbattuti da vivi per farle costruire, sono morti lo stesso e oggi sono ridotti a macabri soprammobili nelle teche dei musei.