venerdì 30 novembre 2012

OKKUPAZIONI E PROF "LATITANTI"...

Cronaca di queste ore: scuole occupate, ragazzi in fermento.
Che si condividano o meno le motivazioni della protesta, io trovo interessante e tutto sommato positiva questa diffusa "voglia" dei ragazzi di partecipare e di incidere sui destini del mondo che li circonda (a proposito, qualcuno dei genitori che assiste infastidito all’exploit dei propri figli ha capito che, tra le altre cose,  c’è un tentativo in atto di consegnare una fetta della scuola pubblica in mano ai privati, consentendogli di investire dei soldi nelle scuole, a fronte del diritto di sedere nei consigli di istituto, incidendo sulle scelte e l’organizzazione della scuola stessa? Anche a me non è che la cosa piaccia molto!).
Il desiderio di capire e di “fare” di molti ragazzi mi sembra comunque preferibile al conformismo addormentato di quelli chi si lasciano scorrere le cose addosso senza nessuna reazione (come succede, del resto, in questi mesi, a una fetta pericolosamente consistente dell’opinione pubblica italiana di fronte a ben altre decisioni prese a livello centrale).
Lo dice, col senno di poi, uno che negli anni del liceo in questi casi se ne andava semplicemente a giocare a pallacanestro, cosa di cui oggi mi dispiace. Perciò sono contento, in linea di massima, che i miei figli siano interessati a quello che gli succede intorno (il che NON significa che io sia tranquillo… ma preoccuparsi per l’incolumità dei figli è l’occupazione principale dei genitori, no?).
Certo avrei preferito non vedere ripetere all'infinito l'abusata forma di protesta dell'occupazione, che ha in sè sempre una componente di imposizione e di violenza, e vedere utilizzare invece modalità più fantasiose e creative. E forse anche più efficaci. Ma questa è un'altra storia.
Quelli, invece, che mi lasciano perplesso sono gli insegnanti.
Profondamente insoddisfatti, ripetono da anni che è in atto un tentativo di massacrare la scuola e di affossare ancor più il loro ruolo e la loro professionalità, ma poi troppi di loro stanno alla finestra.
I ragazzi sono sulle barricate, i genitori vivono il momento con ansia, sperando che non succedano casini, ma i prof in prima linea mi sembrano molto pochi. Perché non sono anche loro davanti alle scuole, in massa, a rendersi disponibili a partecipare o a realizzare insieme ai ragazzi dei corsi autogestiti? Perché non approfittano del momento per organizzare incontri con personalità di rilievo che parlino ai ragazzi di confronto democratico e di lotta per i diritti (anche in modo da far riflettere chi occupa, spingendolo a rimanere in limiti di buon senso)? Non parlo, chiaramente, di propaganda politica. Sarebbe squallido. Parlo di usare anche la circostanza, di canalizzare l’entusiasmo del momento per offrire occasioni di crescita. Non sarebbe interessante far parlare qualcuno capace di spiegare, che so,  come si approva una proposta di legge, come si converte in legge uno dei decreti che stanno contestando, insomma come funziona il nostro sistema? Perché questa strisciante impressione che, a parte un certo numero di lodevoli prof che si spendono in trincea con costanza e passione, gli altri abbiano “mandato avanti” i ragazzi perché combattano anche la loro battaglia, mentre loro sono acquartierati nelle retrovie?
In questo modo, tra l’altro, si dà una pericolosa “sponda” a chi, come Monti, ha liquidato tutta la faccenda come una banale “difesa di interessi corporativi”, dando effettivamente l’impressione che agli insegnanti interessi solo non lavorare qualche ora di più a costo zero (cosa peraltro comprensibilissima: nemmeno io vorrei lavorare qualche ora in più in ufficio a costo zero!).
Invece poche volte come in questa occasione gli interessi di docenti e studenti, e conseguenza le “battaglie” (nel senso ideologico del termine, io non sopporto la violenza!) dovrebbero essere comuni.
Sarei contento di essere smentito da orde di insegnanti inferociti che mi insultano via smartphone dalle scuole occupate…

(vignetta del disegnatore Luigi Alfieri)

giovedì 22 novembre 2012

LA SCRITTURA

Mi piacciono le storie. Mi sono sempre piaciute.
Fin da quando avevo 5 anni e mia mamma mi ha letto Pinocchio a puntate, un capitolo ogni sera.
Il mio primo libro “da grandi”!
Probabilmente non immaginava il danno che stava facendo. Non si rendeva conto che mi stava piantando nel cervello un seme, creava un pericoloso precedente, lanciava una sorta di "fascinatura" (termine dialettale per descrivere il “malocchio” fatto dalle streghe), che mi è rimasta attaccata addosso e non mi ha mollato più.
Non ho complicate descrizioni: per me la scrittura è raccontare storie.
In primo luogo a me stesso, perché mentre scrivo ascolto io per primo la storia che la mente mi racconta.
Quando si prova un bella emozione si ha voglia di condividerla con gli altri, non è così? E mettere la storia in un libro è un ottimo modo per condividere le storie, non trovate?
Per questo scrivo; per questo provo a pubblicare quello che scrivo.
E l’abilità tecnica? La padronanza della grammatica, l’ortografia, la scelta dei vocaboli, lo stile? Che posto occupano in tutto questo? Davvero, come dicono alcuni, non sono poi così fondamentali?
Beh, se si vuole che la storia funzioni, che catturi fino in fondo chi ascolta, deve essere raccontata bene, senza intoppi, senza errori. Gli errori ammazzano la magia del racconto e noi non vogliamo che si perda neanche un pizzico della magia, non è vero?
“No, non tu! Fai raccontare alla mamma che è più brava!”
Il libro di Pinocchio si apriva; il mondo si fermava e poi spariva; la “fascinatura” faceva effetto e io diventavo di legno e correvo a perdifiato, inseguito dagli incappucciati, per non essere impiccato all’albero, con le monete d’oro zecchino nascoste sotto la lingua.
Mi piacciono le storie. Mi sono sempre piaciute.
Non c’è niente di meglio che raccontare una bella storia…


... era un notte buia e tempestosa...


martedì 20 novembre 2012

Leggere ebook in treno (o almeno provarci...)

Scena: lo scompartimento affollato di un (lurido, ma che ve lo dico a fare?) treno italiano.
Un tizio con i jeans e una giacca sportiva cerca di estraniarsi dal mondo circostante immergendosi nella lettura di un romanzo sul suo lettore di ebook. Per la cronaca il romanzo non è un gran che, ma questo non c’entra con la storia.
Stazione di Foggia. Scendono un paio di persone, sembra quasi che si possa respirare, invece i tre posti liberi vengono subito presi d’assalto da un simpatico trio: marito e moglie, piuttosto giovani, con mamma di lei al seguito.
Problema: nessuno dei tre pesa meno di una tonnellata e ognuno dei tre trascina faticosamente a rimorchio una valigia che, viste le dimensioni, contiene con ogni probabilità un cadavere, oppure una BMW in kit da montaggio.
Scusi qua, riscusi di là, piede pestato, testa abbassata all’ultimo momento per schivare lo spigolo di uno dei valigioni, issati in qualche modo sulla rastrelliera porta bagagli. Infine i tre incastrano i loro sederoni nello spazio limitato dei sedili, piazzano i gomiti sui braccioli, colonizzandoli, e cominciano a sventolarsi, tutti affannati e sudati.
Il tizio coi jeans ora è seduto in mezzo tra le due donnone e sembra una sottiletta in mezzo a due mezze pagnotte di pane pugliese. Ha lui stesso, per contrasto, l’impressione di essersi rimpicciolito.
Chiacchiere a 1000.
Tutti - compresi i viaggiatori degli scompartimenti vicini e quelli che stazionano nel corridoio - devono sapere dove è diretto il trio, perché sta viaggiando, il caldo che fa a Foggia, il costo vergognoso delle bottigliette di acqua minerale in stazione e quanto è stato gentile lo zio Antonio a accompagnarli in macchina che sennò facevano tardi.
Calma. Ci vuole calma e sangue freddo, calma. Chissà perché il ritornello della canzone di Luca Dirisio comincia a girare ossessivamente nella mente del tizio-sottiletta.
E’ giusto precisare che il tipo, da buon timido, è poco incline alle conoscenze occasionali e, da buon orso, è assolutamente refrattario alle chiacchiere fini a se stesse, utilizzate come riempitivo per far trascorrere il tempo. Se non c’è niente di interessante da dire allora che silenzio sia. Il tipo adora il silenzio. Il silenzio è la condizione perfetta per fare le cose che gli piacciono di più e cioè leggere, scrivere e un’altra cosa che, a dire il vero, da un certo punto in poi non dovrebbe svolgersi proprio in assoluto silenzio, sennò vuol dire che non sta venendo tanto bene.
Ma anche questo è un discorso che non c’entra con la storia.
Il tizio tenta di mettere a frutto la classica tecnica utilizzata dall’orso in questi casi (no, non mi riferisco al grattarsi le schiena contro il tronco degli alberi!). Prova cioè a immergersi nella lettura, fingendo di essere così preso da quello che legge da non sentire le conversazioni circostanti, in cui l’esuberante trio cerca di coinvolgere il mondo intero.
Peccato che il lettore sia sprovvisto del baluardo naturale dietro cui trincerarsi e cioè il libro. Il libro ha un effetto respingente sul non lettore. Tipo kriptonite con Superman. Al massimo l’interlocutore accenna un: “Com’è? Bello?” indicando la copertina con un vago movimento del capo; al che il lettore può rispondere laconicamente una cosa tipo: “Abbastanza”, oppure “Sì, non c’è male” e la faccenda, di solito, finisce lì.
Il lettore di ebook, invece, non solo non mette il tizio coi jeans al riparo dall’assalto delle chiacchiere ma, al contrario, le attira.
“Certo che a lei ci piace ciattare!” sorride la balena più anziana alla sua destra.
“Non è un aifòn, cos’è, un galacsi?” si informa subito il genero, seduto di fronte, che impugna, diciamo pure brandisce, l’ultimo modello di telefono melamozzicato e sembra già pronto a una sigolar tenzone sul tema: il mio smartphone è più figo del tuo. Insomma, l’ennesima rielaborazione in chiave tecnologia della più tradizionale delle diatribe tra maschi: io ce l’ho più lungo del tuo!
“Non è un telefono…” prova a ribattere l’orso-lettore.
“E’ un tablet! Ignoranti!” li redarguisce la balena di sinistra, che vuol far vedere di saperla lunga.
“No… non è neanche un tablet…”
Momento di silenzio. Sbandamento. Se non è uno smartphone e non è un tablet… Cos’altro esiste al mondo che si possa tenere tra le mani guardandoci dentro?
“Un videogioco?” chiede speranzoso un ragazzetto che si affaccia dal corridoio.
Ormai siamo al dibattito pubblico. L’orso sospira.
“E’ un lettore di ebook”.
Come se non avesse parlato. Tutti continuano a fissarlo. Per la serie: spiega che non si è capito una cippa.
L’orso continua a ripetere nella mente il suo improvvisato mantra-pop: calma, ci vuole calma e sangue freddo, calma.
“Serve a leggere i libri”.
Delusione palpabile. Perplessità.
“Ahhhh!”
“Ah ecco…”
“… i libri!”
L’orso spera di avere chiuso la partita. Identificato l’oggetto come “libro” ora dovrebbe scattare l’effetto kriptonite. Invece no.
“Cioè lì dentro ci sta tutto un libro?” chiede la balena anziana.
“Veramente ce ne possono stare centinaia, volendo” si lascia scappare l’orso.
“Davvero?”. Incredulità mal dissimulata.
“Ma si possono vedere anche i film?” chiede la balena di sinistra.
“Fa le telefonate?” chiede il marito, che non sembra avere altro dio all’infuori del cellulare.
“Ce l’hai Supermario?” chiede il ragazzino nel corridoio che ormai si sente parte dello scompartimento.
L’orso è chiuso nell'angolo, non ha dove scappare.
“No, questo è un Kindle…”
“Un Kinder?”, chiede un’altra passeggera, che una mezz’ora prima ha scartato e sbocconcellato una merendina, che adesso gli deve essere andata in circolo annebbiandole i neuroni.
“No… Kindle! E’ il nome del lettore di ebook… E’ un modello base, di quelli che servono solo a leggere i libri”.
“Legge solo i libri?” ripete esterrefatto l’uomo aifòn.
“Ma non si stanca gli occhi tutto il tempo sullo schermo del computer? “ si informa mamma balena.
“No signora. Lo schermo è diverso da quello dei computer e non stanca la vista”.
“Come diverso…”
“I computer hanno lo schermo illuminato. Questo invece no”.
“E come fa a vedersi allora?” chiede dubbioso Mr Apple, già pronto a disquisire di schermi Retina.
L’orso non è un esperto di tecnologie innovative. Ha solo una vaga idea di come funzioni l’aggeggio. A lui interessa leggere, non gli frega di questioni tecniche. Messo alle strette è costretto a tentare di spiegare quel poco che ha capito.
“Ha un sistema di inchiostro elettronico, se così vogliamo dire. Quando si preme un pulsante lo schermo viene attraversato da una piccola scarica elettrica che polarizza questo inchiostro e gli fa riprodurre una pagina scritta…”
“Quando si preme un tasto?” si scandalizza il devoto di Cupertino, “Cioè non è tàch?”
“Questo modello no. Preferisco i tasti, così lo schermo si sporca di meno”.
“ E così lei passa il viaggio a leggere!” si stupisce la balena di sinistra, come se il tizio coi jeans passasse il viaggio a coltivare funghi nelle scarpe da ginnastica.
“Vorrei…” mormora questi, triste, guardando fuori da finestrino, “Invece sono arrivato e non ho neanche finito il capitolo…”.
Spegne il Kindle, recupera il suo piccolo trolley, saluta e esce dallo scompartimento.
Il treno entra nella stazione. Si ferma. Il tizio sembra seguire la marea di passeggeri che scendono, ma all’ultimo momento, inaspettatamente, salta la porta di uscita, attraversa le porte che separano i vagoni e prosegue in quello successivo. Che è strapieno, ma il tizio lo dava per scontato.
Adocchiato uno strapuntino in corridoio lo apre, ci si sistema sopra in qualche modo, e tira di nuovo fuori il lettore di ebook. In realtà, infatti, mancano ancora tre ora prima della sua stazione di arrivo.
Scomodo, ma finalmente rilassato, si immerge nella lettura.
Passa un quarto d’ora, ma poi…
“Certo che a lei ci piace ciattare…”
Con uno straniante senso di dejà vu il tizio col Kindle alza la testa. Nello scompartimento di fronte a lui, sul sedile più vicino al corridoio, è seduta una signora non più giovanissima che, però, con ogni evidenza, rifiuta cocciutamente di arrendersi al tempo che passa. Molto trucco, molto colore, un paio di “ritocchini” a zigomi e palpebre, due maestose borse di silicone sopra la cassa toracica.
Il tizio è tentato di rispondere, istintivamente, che non sta chattando. Ma all’ultimo momento si morsica la lingua. Riflette un istante e poi risponde, con la voce più sottile e cinguettante che riesce a produrre:
“Oh sì… non riesco a stare neanche un’ora senza chiacchierare col mio ragazzo!”
La signora perde all’istante ogni interesse e si volta a guardare il paesaggio.
Due uomini di mezza età che vicino a lui, nel corridoio, stavano animatamente discutendo di pallone, si allontanano come per caso di un paio di passi.
L’orso-lettore esulta. Finalmente ce l’ha fatta a creare intorno a sé un po’ di sano spazio vitale.
Soddisfatto sta per reimmergersi nella lettura quando, come dal nulla, compare un ragazzotto coi capelli ossigenati, una pashmina sui toni del viola e gli occhi segnati con l’eyeliner che, sbattendo le ciglia con aria d’intesa, chiede:
“Ma non è un aifòn, cos’è, un galacsi?”


COME NON USARE IL LETTORE DI EBOOK
(dal sito http//:singloids.com)