mercoledì 28 settembre 2011

"faccialibro"

Qualcuno oggi in una discussione “da bar” diceva che “Facebook è il nulla”.
Pensando all’uso che in media ne facciamo viene istintivo dargli ragione.
Pensavo, però, al fatto che FB, a ben vedere, è uno strumento interessante per capire il carattere delle persone.
In media quelli che sono nostri amici per davvero (e non nell’accezione idiota di FB), con cui condividiamo cioè la vita di tutti i giorni, li ritroviamo su FB più o meno come ce li aspettiamo.
L’aspetto interessante riguarda invece quelli che nella vita sono semplici conoscenti.
Se con una persona nella vita “vera” abbiamo solo contatti sporadici e occasionali, è ben difficile capire chi sia per davvero. Ce ne facciamo un’idea, ma alla prova dei fatti è molto spesso sbagliata e parziale. Su FB, invece, emerge, senza che ce ne rendiamo conto, un’immagine di noi che, senza essere esaustiva (per carità!) è però piena di indizi su quello che è il nostro vero carattere.
Lo so che sto facendo psicologia e sociologia da sala d’aspetto del dentista, però è indubbio che FB “racconta” inevitabilmente diverse cose: ad esempio quanto siamo “esibizionisti” (nostre immagini postate a tutto spiano) o, al contrario, quanto siamo riservati e spaventati all’idea di “scoprirci”, i nostri interessi, la nostra propensione a essere disfattisti e pessimisti o ironici e ottimisti.
E via dicendo.
Non è un caso che ormai, al momento di decidere se assumere dei collaboratori, molte aziende effettuino prima una ricerca del nominativo in rete, con particolare riferimento all’eventuale profilo di FB. Lì sopra ci siamo noi non più nascosti dietro giacca, cravatta e ipocriti sorrisi da colloquio di lavoro, ma in costume sulla spiaggia con una birra in mano, palesemente sbronzi o, al contrario, in compagnia degli amici della parrocchia all’ultimo ritiro spirituale. E non è detto, per assurdo, che non siano proprio le foto del ritiro spirituale a farci scartare, visto che magari l’azienda cerca “squali” e non potenziali portatori di pericolosi scrupoli di matrice religiosa. Ci sono le nostre idee, desumibili dai commenti che spargiamo in giro, dalle pagine a cui siamo iscritti, dalle polemiche in cui ci lasciamo trascinare.
No, pensandoci bene non è vero che FB sia il nulla.
Per certi versi, forse, sarebbe meglio se lo fosse ;-)

lunedì 26 settembre 2011

Benvenuti al nord-sud-est-ovest

Ieri sera mi sono depresso davanti alla puntata di “Presa Diretta” su RAI 3.
Il divario nord – sud in Italia si trascina, aggravandosi, da 150 anni.
L’idea dominante – miope e sbagliata, anche da un punto di vista strettamente economico –è che il sud sia una palla la piede del nord e che, tagliando i finanziamenti pubblici al sud, il nord potrà “respirare”.
In realtà ogni economista che si rispetti può spiegare come sia impossibile che il PIL complessivo di una nazione cresca se la metà di quella nazione viene lasciata andare alla deriva. Del resto il sud acquista una fetta importante dei beni prodotti al nord e se il reddito medio della popolazione del sud cala rovinosamente è di tutta evidenza che le aziende del nord vanno in crisi per mancanza di vendite.
A chi pensano di vendere i loro prodotti gli imprenditori del nord che appoggiano la Lega e la sua idea infantile di secessione? Pensano di venderli tutti all’estero? A chi?
In Germania il divario ovest – est lasciato in eredità dalla caduta del muro di Berlino, era persino peggiore di quello che corre tra nord e sud Italia. E i tedeschi cosa hanno fatto? Hanno lasciato andare alla deriva l’est? Hanno fatto una secessione? No. L’ovest ha investito una valanga di denaro all’est, accettando di “supertassarsi” per alcuni anni, creando tutte le infrastrutture necessarie (strade, linee telefoniche, ecc) perché diventasse più facile per i privati andare a investire nella parte est del paese.
In poco più di 10 anni il divario tra le due metà della Germania è stato in gran parte colmato e oggi la Germania è il paese europeo che meglio sta reggendo alla crisi, l’unico che riesca ancora a crescere.
L’intero paese beneficia di quella scelta onerosa. Se ieri quella scelta non fosse stata fatta, la Germania oggi arrancherebbe come arranchiamo noi.
Chi ha avuto la lucidità di fare queste scelte? Gli imprenditori? No. La scelta è stata politica, la Germania ha potuto contare su una classe politica che ha saputo comprendere i problemi e programmare delle soluzioni.
Lo Stato ha fatto la sua parte, una parte determinante e irrinunciabile. E la Germania non è uno stato assistenziale di tipo sovietico: è un paese liberista.
In Italia negli ultimi 20 anni qualcuno si è sforzato di convincerci che lo Stato è il male e la libera imprenditoria è il bene, che tutto quello che viene privatizzato funzionerà meglio, per cui lo Stato deve tenersi sostanzialmente fuori dalle scelte economiche.
Il risultato è un sistema che va a rotoli, una barca che affonda priva di timoniere. Perché in realtà alla luce di questo presunto liberismo “de noantri” si è legittimata la spoliazione, il depredamento di interi settori del paese, si è lasciato che i pescecani attaccassero e spolpassero, arricchendosi alle spalle della comunità.
Chi siede al governo, palesemente non sa governare. Non è solo una questione di mignotte e di tempo passato a scoparsele e rubato agli impegni istituzionali, è proprio che l’uomo che da anni guida il paese non è capace di fare il suo mestiere. Sa forse fare l’imprenditore, ma di certo non sa fare il politico. Come statista vale 2 centesimi, la sua visione del futuro è quella di un cieco che cammina in terreno sconosciuto, che rifiuta orgogliosamente l’aiuto dei passanti e va a schiantarsi contro tutti i pali che trova sul suo cammino.
Non è detto che chi siede all’opposizione sia molto più capace, ma di fronte al totale fallimento di chi ha governato negli ultimi anni, le regole democratiche e il buon senso vogliono che si cambi. Che il paese venga affidato a altre mani. Se saranno più capaci, ben venga. Se saranno altrettanto incapaci, che si tolgano dalle scatole. E il paese venga affidato di nuovo a chi sembrerà dare maggiore affidamento.
Per aggrapparsi agli ultimi relitti galleggianti.
Per non affondare.


mercoledì 21 settembre 2011

In macchina, di notte, sotto un diluvio, per le strade di un quartiere periferico che più periferico non si può. Oltre c'è solo la pista dell'aeroporto.
Devo recuperare un figlio da una festa di compleanno. Loro in qualche appartamento, al calduccio, ballano e ridono: io apro le acque con le ruote, come Mosè, e impreco a mezzo voce, cercando l'indirizzo.
In questa città non piove quasi mai. Quando piove succede un casino: l'acqua non sa dove deve andare, così si ferma  a riflettere in mezzo alle strade o scende allegramente in scantinati e garage sotterranei.
Compare un serpentone soprelevato di cemento, sorretto da alti pilastri. Credo che prima o poi ci camminerà sopra un treno, una "metropolitana leggera", qualcosa del genere.
La sensazione è quella di essere in un film, uno di quelli poco rassicuranti, un thriller o, peggio, un horror. Quelli in cui, da un momento all'altro, sbucano sulla strada cadaveri ambulanti, zombie dondolanti o vampiri ghignanti. O una bella ragazza che ti chiede un passaggio e tu, idiota, glielo dai, e poi quella si rivela essere una psicopatica che uccide i cretini di mezza età che girano di notte alla ricerca di figli che partecipano alle feste di compleanno.
Quindi, se adesso salta fuori qualcuna e mi chiede un passaggio, col cavolo che glielo do!
Vabbè che poi, se salta fuori in questo posto dimenticato da Dio, difficile sia una psicopatica: molto facile invece che sia una battona in cerca di clienti.
Sospiro.
D'accordo, questo giro in macchina di notte è una seccatura, ma... in fondo non c'è un vero motivo per questo istante di monumentale malinconia.